mercoledì 5 dicembre 2012

Pet sematary - Stephen King

In una limpida giornata di fine estate, la famiglia Creed si trasferisce in un tranquillo sobborgo residenziale di una cittadina del Maine. Non lontano dalla loro casa, al centro di una radura, sorge Pet Sematary, il cimitero dei cuccioli, un luogo dove i ragazzi del circondario, secondo un'antica consuetudine, usano seppellire i propri animaletti. Misteriosamente, la serena esistenza dei Creed viene ben presto sconvolta da una serie di episodi inquietanti e dall'improvviso ridestarsi di forze oscure e malefiche...


Titolo: Pet Sematary
Autore: Stephen King

Traduzione: Hilia Brinis

Prima edizione originale: 1983
Prima edizione italiana: 1985 Sperling & Kupfer (prima edizione Sperling Paperback marzo 1989)

Prezzo: € 10,90





Louis Creed, un giovane medico e uomo pratico, accetta l’incarico in una università e si trasferisce insieme alla famiglia in un quartiere residenziale di una cittadina del Maine. Un posto apparentemente tranquillo. Sua moglie, Rachel, è una donna affettuosa e apprensiva, soprattutto verso i due bambini: Ellie, cinque anni e Gage, che impara ora a parlare. Presenza fondamentale all’interno della famiglia è l'amato gatto della piccola Ellie: Winston Churchill, detto Church (ho idea che non sia un caso il fatto che il diminutivo diventi un riferimento alla chiesa).
Al loro arrivo, dopo che una vespa punge il piccolo Gage sul collo, giusto per “battezzare” il trasloco, entrano in scena i loro vicini di casa, dirimpettai. Judson Crandall, un uomo anziano che dimostra assai meno anni di quelli che in realtà ha e sua moglie Norma, donna poco presente a causa di una bruttissima artrite, che le sta rendendo atroce l’ultima parte della sua vita.
Jud si mostra fin da subito ospitale, offrendo il suo aiuto. Lui e Louis, giorno dopo giorno stringono un legame particolare, un tipo di legame che fa sentire a Louis di aver finalmente trovato un surrogato di padre. Il rapporto tra i due diventa sempre più importante soprattutto grazie alle confidenze che l’anziano signore fa al protagonista. Qualche giorno dopo l’arrivo della famiglia nel quartiere, infatti, ha luogo una gita – Jud alla guida – verso il Pet Sematary, il cimitero degli animali: un luogo dove i bambini e i ragazzini del posto, per qualche strano motivo, per qualche strana forza a loro esterna, usano seppellire i loro amati animali dopo la morte.
Un giorno Louis si trova a dover soccorrere un giovane, tale Victor Pascow, in seguito ad un brutto incidente. Il medico non riuscirà a salvargli la vita. Da quella notte prendono forma una serie di strani eventi, a partire dall’incubo di Louis che vede proprio Victor Pascow come protagonista. Il ragazzo si palesa in casa sua, si presenta tumefatto, con le ferite ancora aperte e l’osso della spalla ancora fuori posto. Il ragazzo mette in guardia Louis sul cimitero degli animali e lo avvisa di non oltrepassare “il confine”.
Poco tempo dopo, la famiglia Creed viene colpita dalla prima tragedia: la morte apparentemente e tecnicamente accidentale del gatto Church, ad opera di uno dei famosi camion che transitano sulla statale che fronteggia la casa. Jud convincerà - per qualche strano motivo - Louis a seppellire Church con metodo nel Pet Sematary e da questo momento in poi sarà un crescendo di orrore. Quel tipo di orrore causato non tanto da mostri o creature leggendariamente spaventose, quanto dalla mente umana, dal dolore che ci si può trovare ad affrontare nella vita, quando questa ci mette davanti alla perdita e alla morte in modo tangibile. Quando l’irrazionalità prende il sopravvento e non ci si riconosce neanche più nella propria mente.


Ad attrarmi è stato il titolo - che ha suscitato quel tipo di curiosità negativa e oscura - e la piccola mole del libro ha aiutato perché, secondo me, quando King diventa prolisso ti sottrae un po’ il piacere di leggerlo e il gusto per la storia che ti racconta.
Ho letto lo stralcio in quarta di copertina e ho deciso di inserirlo nella mia wishlist.
Alla fine è giunto il momento di comprarlo, complice il prezzo modesto (per dovere di cronaca: come la maggior parte degli Sperling Paperback).
La trama non lasciava intendere nulla – per fortuna, aggiungo! Rovinerebbe tutto il sapore, altrimenti - di quella che si è rivelata in realtà la sostanza del libro e il titolo mi ha lasciata nel limbo del dubbio per un po’. Avendo tre gatti che, neanche a dirlo, amo tantissimo, e conoscendo King, non mi sembrava proprio una botta di vita. Quella curiosità di cui parlavo, però, ha deciso per me ed eccomi qua.

Come tutti gli autori, King può piacere o meno – anche a seconda del libro in questione – ma una delle certezze è che sa come costruire le situazioni e i personaggi in modo da riuscire a trasmetterti le emozioni, l’angoscia, il brivido.
Non parlo del brivido da classico film horror in cui una tizia se ne va in giro da sola per casa, di notte, al buio, chiedendo cose assurde come: “chi è là?”, “chi sei?”, “vieni fuori se hai coraggio”. Ecco, no.
Non parlo neanche del brivido provocato dalle storielle dell’immaginario collettivo che magari ci raccontano da piccoli, quelle dell’uomo nero o del mostro sotto al letto pronto ad afferrarti per una caviglia nel momento in cui tu stai per andare a dormire. No.
Qui King si districa tra eventi misteriosi e mostruosi legati a leggende e riti di popoli antichi. Tutti elementi che usa come espedienti per narrare una storia che ha in sé una normalità atroce, in fondo. La normalità del dolore umano e della pazzia che può provocare. Quello che si scatena di fronte alla perdita e alla morte.
L’autore mostra, forse portato all’eccesso ma, chissà, ciò che può succedere nella mente e nell’animo umano quando davanti ad un uomo viene messa la possibilità reale e concreta della resurrezione.
È difficile parlare del libro senza rivelare troppe cose e senza rovinare la lettura a chi sceglierà di dargli una possibilità. Ora, a lettura terminata, sono sicuramente dell’idea che non mi sarebbe affatto piaciuto che qualcuno mi avesse rovinato le “sorprese” di questa storia, i dilemmi, i turbamenti psicologici dei personaggi, i dolori del loro passato che si trascinano nel presente. Soprattutto per Rachel, per esempio, la quale vive ancora nel terrore che le hanno provocato la malattia e la morte della sorella quando le due erano ancora delle bambine.
Posso dire però che, lo stile di King, quando è così scorrevole e chiaro, cattura fin da subito. Dall’inizio si viene coinvolti nella storia e ci si sente quasi come degli amici della famiglia Creed. Amici che però non possono interferire nel corso degli eventi, nonostante verrebbe voglia di calarsi nei panni del Grillo Parlante, per salvare tutti da una catastrofe certa e, anche se non palesemente annunciata, ben prevedibile.
King racconta con la voce di un narratore esterno che segue i personaggi, soprattutto Louis. Ciò che permette un maggior coinvolgimento emotivo è la possibilità di essere resi partecipi dei dilemmi interni ai personaggi, delle loro paure, emozioni e sensazioni profonde, espresse in prima persona sotto forma di pensiero.
I personaggi non sono apertamente descritti né nell’aspetto fisico, né in quello caratteriale. Il punto è che qui non ce n’è bisogno. Prendono vita semplicemente attraverso ciò che dicono e attraverso le loro disperate azioni. Louis è un personaggio abbastanza emblematico, all’inizio. Lo conosciamo come una persona estremamente razionale e finiamo per assistere ad azioni sconsiderate, disperate e ritenute blasfeme. Quando Louis comincia a scoprire il vero segreto del cimitero deli animali, niente sarà più come prima. Dovrà rassegnarsi, seppur riluttante all’inizio, all’assurda evidenza. Una volta addentrati nel corso degli eventi, quando la seconda e terribile tragedia colpirà la famiglia, sappiamo già quali saranno i pensieri e le intenzioni di Louis Creed. Ce lo aspettiamo e lo sappiamo prima che se ne renda conto lui stesso.
Ruolo fondamentale quello dell’anziano Jud Crandall, che Louis arriva a considerare un amico, quasi un padre. Sarà il vicino a svelargli man mano tutti i segreti del cimitero, i perché, gli scopi del seppellire gli animali proprio lì e gli orrori che hanno preso luogo in passato nella città quando le persone si sono spinte troppo oltre.
Insomma, un horror ben architettato. Un libro che ti lascia il brivido della consapevolezza di una pazzia che potrebbe colpire chiunque davanti al dolore della morte e alla possibilità di avere indietro chi abbiamo amato. Una storia e degli eventi che ti lasciano il dubbio: “e tu, cosa faresti al loro posto?”.
C’è da dire che le sequenze finali sono talmente deliranti e demoniache da essere quasi degne dello schema di un film horror anni ottanta e non so quanto questo sia positivo.
Il vero finale non si può assolutamente rivelare, naturalmente. Devo dire che mi ha lasciata perplessa e non è la prima volta che un finale di King mi dà questa sensazione. Qualcosa di non completamente afferrabile e comprensibile. Qualcosa di aperto. L’orrore che continua, che in realtà non finisce mai.
In ogni caso, a me è decisamente piaciuto. Non è uno di quei libri horror fini a se stessi – non che non possano essere piacevoli eh, lungi da me - che non lasciano nulla una volta terminata la loro lettura. È più come un pugno nello stomaco. Come si sarà capito, penso che offra non pochi spunti di riflessione.

Due parole su due aspetti che finora non ho menzionato, ma ai quali tengo molto e che considero sempre. Non l’ho fatto più che altro perché non servono propriamente a dare un giudizio al contenuto in sé di un determinato libro o a ciò che ha scritto l’autore. Parlo della traduzione e dell’editing e correzione bozze; aspetto, quest’ultimo, a cui tengo molto e a cui sono sempre molto interessata.
Ho trovato, nella traduzione, alcuni termini ed espressioni forzate. Mi viene in mente un esempio tratto da un dialogo: la piccola Ellie usa l’espressione “l’anno venturo”, al posto di “l’anno prossimo”. Penso che sia assolutamente poco credibile che una bambina di 5 o 6 anni possa parlare in questo modo e sicuramente non avrebbe parlato così nemmeno negli anni ottanta, ovvio. Penso sia stato un vezzo della traduttrice. Immagino che nell’edizione originale fosse “next year”. Espressione che non ha bisogno di essere tradotta in altro modo che “l’anno prossimo”. Questo giusto per fare un esempio.
Per quanto riguarda la correzione bozze, invece, ho trovato qualche refuso qua e la, ma non compromette di certo la piacevolezza della lettura né la sua scorrevolezza. E poi, io sono un caso patologico. Pignola, coff coff. Perdonatemi.

La parola a voi: qualcuno di voi l’ha letto? Che ne pensate? Viva il confronto pacifico.






2 commenti:

  1. solo le ultime due pagine fanno venire una pelle d'oca degna di nota.

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  2. solo le ultime due pagine fanno venire una pelle d'oca degna di nota.

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