sabato 23 febbraio 2013

Carrie - Stephen King

Titolo: Carrie (originale: Carrie)
Autore: Stephen King
Anno: 1974

Editore: Bompiani

Traduzione: Brunella Gasperini

Pagine: 174

Prezzo: € 7,90








Carrie White è una ragazza di sedici anni, ma di una comune adolescente non ha nulla. È stata cresciuta da una madre secondo una dottrina pseudocattolica rigida, soffocante. Una madre con una mente pericolosamente chiusa, bigotta, instabile. Una mente malata, senza mezzi termini. A causa della sua diversità e della totale ingenuità nei confronti della vita, Carrie è da sempre presa di mira dai compagni di classe, che non perdono occasione per tormentarla.
Un giorno, durante la doccia collettiva dopo la lezione di educazione fisica, la ragazza ha il suo primo mestruo. Questo avvenimento la sconvolge fino a farle venire un attacco isterico e farle pensare che stia morendo dissanguata. Non ha infatti la minima idea di che cosa le stia succedendo (chissà per colpa di chi, si accettano supposizioni e scommesse) e mi risparmio dal divulgare le credenze e le convinzioni di quel personaggino che è la madre. Avrete modo di scoprirlo, nel caso. L’insegnante interviene dapprima in modo brusco con Carrie, per poi moderare l’atteggiamento e prendere le sue parti, trovandosi in mezzo ad una scena di bullismo di massa da parte delle altre ragazze, che arrivano addirittura a urlare e lanciare addosso a Carrie degli assorbenti. La professoressa chiederà poi provvedimenti contro queste signorine carine carine, rischiando di far saltare il ballo scolastico. E non sia mai, eh!
Carrie torna a casa sconvolta e da quel momento cominciano a verificarsi sempre più frequentemente episodi fino ad allora rimasti latenti. La ragazza ha infatti uno strano potere: la telecinesi. Riesce cioè a spostare gli oggetti e a “comandarli” con la sola forza del pensiero e delle emozioni. È come se il primo mestruo avesse scatenato del tutto il suo potere, rendendolo più o meno manifesto rispetto al passato.
Il ballo della scuola si avvicina. Tuti i compagni e le coppiette si organizzano e Sue Snell, compagna afflitta dal senso di colpa e disgusto per se stessa per aver partecipato all’orrore del giorno della doccia di sangue, decide di chiedere al suo ragazzo il favore di portare lui stesso Carrie al ballo. Un modo per pulirsi un po’ la coscienza, insomma. Peccato che non sappia che invece la signorina stronzetta senior, figlia di un avvocato, tra l’altro – della serie: lei non sa chi sono io! – sta architettando insieme al suo ragazzo e ad altri individui uno scherzetto macabro ai danni della povere e ignara Carrie, per punirla della quasi cancellazione del ballo. Man mano che ci si avvicina alla fatidica sera e alla catena di disastrosi eventi, ci si ritrova coinvolti in un vortice di fatti disturbanti proprio a livello emozionale, direi.  Fino ad arrivare alla mostruosità dell’epilogo finale.


Comincio subito col dire che questo libro mi ha provocato una sorta di tumulto interiore. Negativo, si intende. Leggasi: senso di inquietudine e irrequietezza. Una sensazione disturbante. Tanto che il giorno in cui ho iniziato a leggerlo, la sera ho deciso di non riprenderlo in mano nonostante volessi finirlo, per non andare a letto con quelle determinate sensazioni. Sì, è consentito ridere. Forse me lo merito. Allora cos’ho fatto? Prima di cedere alla calda accoglienza della trapunta ho guardato un episodio di una delle mie comedy preferite (New Girl), che mi ha restituito subito la pace, facendomi sorridere e strappandomi le solite risate.

Per quanto abbia letto pochi libri di King, ho capito che, quando si approccia a questo tipo di storie, l’orrore non risiede tanto nello straordinario ma nei personaggi stessi, nella distorta umanità dei loro comportamenti, delle loro menti e delle loro intenzioni.
Qui, infatti, il problema o il punto non è tanto la straordinarietà del potere di Carrie, quanto tutto ciò che sta intorno alla ragazza. A partire dalla mente della madre, che definire retrograda all’inverosimile e malata è dire poco, e a finire con le teste da prendere e sbattere al muro dei suoi compagni di scuola, bulli che deve affrontare quotidianamente e che si fanno beffe di lei da sempre.

Gli eventi vengono raccontati da King intervallando anche interviste e interrogatori a distanza di tempo ai personaggi coinvolti nella storia e testimoni dei tragici eventi della sera del ballo e del fattaccio, che definire scherzo mi pare assurdo. Mi è sembrato che questo espediente contribuisse a coinvolgere il lettore e che cadenzasse meglio il ritmo della narrazione, già di per sé scorrevole. Dopotutto il libro è breve e non è neanche diviso in capitoli.

Ho letto pareri discordanti, - com’è normale che sia, sempre – anche su questo libro. La diatriba sta più che altro nel fatto che questo è il primo libro di King, il suo primo racconto. Riesumato dalla moglie dopo anni, tra l’altro, se non sbaglio.
C’è chi dice che sia un capolavoro, c’è chi sostiene la bruttezza di questo racconto.
Ecco, a me è piaciuto nonostante il suo essere forse un po’ acerbo nello stile. Nonostante si percepisca appunto il fatto che fosse tra i primi scritti di King, mi sembra decisamente degno di nota. Soprattutto perché a livello di descrizione di fatti, personaggi e dinamiche e a livello di emozioni trasmesse – negativissime, certo – penso che riesca a fare centro in ogni caso. Gli unici punti a suo sfavore sono quindi, per quanto mi riguarda, alcune scelte di forma nello stile, che mi pare siano comunque caratteristiche di King. L’unico problema, forse, è che qui non sono “lavorate” come in altri suoi libri successivi.

Edizione fornita dalla biblioteca
XXIV edizione "I Grandi Tascabili" maggio 1997

E naturalmente, si parla di prezzo in Lire. L. 12.500

Forse dalla foto non si vede bene, ma il titolo è addirittura metallizzato. Delle vere chicche, queste vecchie edizioni. Nel bene e nel male.
 






giovedì 7 febbraio 2013

La famiglia Fang - Kevin Wilson

Titolo: La famiglia Fang (originale: The Family Fang)
Autore: Kevin Wilson

Editore: Fazi, 2012

Traduzione: Silvia Castoldi

Pagine: 397

Prezzo: copertina rigida € 18,00







Caleb e Camille Fang sono sposati e hanno deciso di fare della propria vita uno spettacolo continuo, nel quale hanno coinvolto da sempre anche i due figli, due bambini, Annie e Buster. A e B – come li chiamano i genitori, spacciandoli per nomi d’arte – sono parte integrante delle loro continue e assurde performance caratterizzate da un intento provocatorio nei confronti del pubblico il quale – di volta in volta – si ritrova, ignaro e in situazioni ordinarie, ad assistere ad eventi che creano confusione e lasciano il segno. Uno dei set privilegiati dai Fang è il centro commerciale, dove possono sbizzarrirsi e inscenare meglio le loro “sceneggiature” e dove il pubblico passivo è sempre presente. Spesso, nelle messinscena recitano la parte di persone estranee tra loro e si calano perfettamente nel personaggio. Il risultato ultimo delle loro performance è una perplessa e sbalordita confusione tra chi vi ha assistito e la loro intima soddisfazione di aver generato caos, di aver smosso le acque. Perché questo? Per puro amore verso l’arte. Sì, perché i Fang hanno sempre in bocca questa parola. Arte, arte, arte. Amore per l’arte. I signori sono artisti, mica ciccia. Sono artisti e sono fieri di esserlo. Sono fieri di aver dato se stessi e i loro figli alla mamma arte. Non importa se privano i figli di una vita normale, tranquilla. Non importa se li privano di genitori normali. Non importa neanche se non hanno dato ai loro figli alcuna possibilità di scelta. Sono, anzi, estremamente convinti che i bambini siano stati fortunati perché figli dell’arte in quanto figli loro.
Eh beh, sì. Come dire che due più due fa quattro, no? Sorvoliamo. Due personcine che tutti vorrebbero avere come genitori, insomma.

Durante l’adolescenza di Annie e Buster, succede qualcosa che fa decidere i ragazzi per l’allontanamento definitivo dai genitori. Caleb e Camille, infatti, superano il limite durante un’occasione ben precisa, che verrà svelata a storia inoltrata.

Ormai adulti, i due ragazzi si destreggiano tra gli eventi delle rispettive vite, finalmente liberi da tempo dalla presenza opprimente e totalizzante dei genitori. Annie è diventata un’attrice, mentre Buster ha scritto un paio di romanzi. Un giorno, però, a causa di un incidente, Buster si trova a dover tornare a casa per la convalescenza e Annie, vista la sua situazione abbastanza problematica sia sul piano lavorativo che su quello sentimentale, si lascia convincere dal fratello e decide alla fine di correre in suo aiuto per non lasciarlo solo coi genitori e torna a casa anche lei.

I genitori sono naturalmente invecchiati, eppure l’incubo ricomincia nel momento stesso in cui si ritrovano di nuovo tutti e quattro insieme. Proprio come ai vecchi tempi. Caleb e Camille si illudono che tutto possa tornare come un tempo – una botta in testa no, eh? – e sono al settimo cielo. Cercano di coinvolgere da subito i figli in una nuova performance, che però non finisce come previsto e falliscono. 

Qualche giorno dopo, si verifica l’evento cardine della storia. Quello che rappresenta la svolta e il turning point del libro. I genitori scompaiono in un modo che non lascia presagire nulla di buono. A quel punto i ragazzi sono sballottati tra i pensieri più disparati e mentre la polizia crede in una tragedia, Annie è fermamente convinta che sia l’ennesima messinscena e che lei e Buster non abbiano scampo. Devono per forza prendere parte al “gioco”. Inizia il viaggio dei due fratelli, l’incontro con un personaggio che potrebbe aiutarli e la scoperta di alcuni fatti. La fine del viaggio corrisponderà alla scoperta di numerose verità.  


Il mio giudizio personale è positivo. È un racconto strano, innanzitutto per il modo in cui è scritto. Ha uno stile asciutto, non pretenzioso, semplice e senza inutili fronzoli. Forse non è una scrittura molto affinata e ricercata, ma è spontanea e sa essere introspettiva in modo diverso dal solito e questo mi è piaciuto. Ho apprezzato il fatto che non è uno di quei libri che ti fa pensare che se avessee occupato la metà delle pagine impiegate sarebbe stato meglio. Strano anche e soprattutto per la storia non convenzionale, i contenuti e le tematiche. Sebbene all’inizio alcuni potrebbero faticare ad ingranare, una volta inserita la marcia giusta si comincia ad entrare nel vivo degli eventi fino ad arrivare verso metà libro, dove la svolta fa sì che da quel punto in poi sia difficile non essere curiosi di sapere cosa accadrà dopo.

La struttura del romanzo è divisa in due piani temporali, infatti si alternano capitoli in cui leggiamo dei flashback – precisamente, di volta in volta l’autore racconta una performance della famiglia Fang, partendo dagli anni in cui Annie e Buster erano bambini – a capitoli in cui leggiamo della vita attuale dei ragazzi e continuiamo a seguirli nel corso degli eventi. Penso che questo tipo di scelta sia congeniale alla storia. In questo modo, infatti, ci destreggiamo senza problemi tra eventi del passato, ciò che hanno provocato e le loro conseguenze sul presente e sui componenti della famiglia. Mi è piaciuta la scelta dei titoli dei capitoli sulle performance, ma non svelo nulla.

Inizialmente si fa fatica ad inquadrare i personaggi di Annie e Buster adulti e la loro caratterizzazione sembra carente, ma man mano che le istantanee del passato si avvicinano al presente ci appare sempre più chiara la loro personalità.
Annie ha solo due anni più di Buster, ma si comporta da sorella maggiore a tutti gli effetti, da sempre. Lo protegge, lo conforta e assume la guida anche nell’età adulta. Quasi a sopperire le mancanze date dal comportamento dei genitori. Sembra sempre lei la più forte.
Un aspetto molto importante, questo del rapporto tra i due fratelli. L’autore riesce a trasmettere costantemente la loro unione fin dall’infanzia e la loro tacita rassegnazione/consapevolezza rispetto alla situazione familiare. Questi due ragazzi sono stati fin da bambini vittime di genitori che definire sopra le righe sarebbe usare un eufemismo. Tutto in nome di cosa? Ah, sì, dell’arte. Per quanto si possa essere appassionati d’arte - o forse proprio se lo si è – si inorridisce nel leggere di determinati atteggiamenti, convinzioni o dialoghi dei genitori
Non ci si capacita di come possano essere così ottusi. Sono due personaggi che avrei volentieri preso a cartoni per quasi tutto il libro. La bravura di Wilson, a mio parere, è stata proprio quella di trasmettere queste sensazioni. Se la sua intenzione fosse quella di trattare l’argomento con un approccio di “denuncia”, direi che ci è riuscito. Coniuga la leggerezza negativa, l’ingenuità, l’ego dei genitori e ciò che fanno nella vita con le conseguenze che le loro azioni e le loro scelte hanno avuto sui loro figli. Questi due individui hanno completamente spersonalizzato i figli fin da bambini. Hanno imposto la loro scelta di vita e li hanno fatti sentire in dovere di partecipare a qualcosa a cui non avrebbero mai potuto sottrarsi solo per il fatto di essere nati in quella famiglia. Hanno privato i figli del loro individualismo e della loro identità, detto in altre parole. 

Se decidete di leggere questo libro, vi capiterà di assistere a scene assolutamente assurde e vi verrà parecchio nervoso. Vi pruderanno le mani. Insomma, avrete voglia di prendere a cartellate quei due deficienti, su. 

Una breve riflessione sulla copertina, a questo proposito. Sono stata attirata proprio da quella e dal titolo. Un’illustrazione semplice, colorata, ma strana. Interessante, ma con un che di inquietante. Fa presagire in modo efficace l’essenza della famiglia e della scelta di vita di Caleb e Camille imposta ai figli. Sulla copertina Annie e Buster, infatti, sono ritratti con due maschere. Il loro viso non si vede. Sono privi di una vera identità.

Il finale è a sorpresa e, anche lì, la voglia di prenderli a schiaffoni mi è rimasta. Lieto fine per i ragazzi che, almeno – non dico come, non dico cosa, non dico perché – riescono finalmente a liberarsi di questi due genitori ingombranti e a dare un taglio netto con la vita insieme a loro.

P.s.: tarlo personale. Fin dall’inizio, visto il contesto di vita familiare e la particolarità della storia, ho subito pensato che la scelta del nome di Buster fosse dovuta al grande Buster Keaton, uno dei maestri del cinema comico muto. Nel corso del libro poi, viene infatti citato un paio di volte in un altro contesto. Nessuno mi toglie dalla testa che il furbastro Wilson abbia scelto quel nome di proposito. Diventa palese.













venerdì 1 febbraio 2013

Buoni propositi per l'anno nuovo: prendere libri in biblioteca - parte 2


Sono un tantino in ritardo, sì.
Ormai il post pappardella è stato scritto, quindi ora posso davvero arrivare al dunque, al nocciolo della questione. Sì, ce la posso fare.
Vorrei dedicare questo post esclusivamente ai motivi per cui - per la sottoscritta - è un bene ed è bello prendere libri in prestito da una biblioteca e anche quali possono essere i contro. Ovviamente, lo dico a scanso di equivoci, queste sono solo mie idee, mie sensazioni e mie valutazioni. È quindi logico che per altri possa non essere così e sarei quindi contenta se nascesse uno scambio, un confronto.
Cominciamo.


I pro:

1) entrare in un posto strapieno di libri, che odora di libri.
2) poter scegliere qualunque libro uno abbia voglia di leggere, anche sulla scia del momento.
3) poter leggere libri in modo assolutamente gratuito.
4) trovare anche libri vecchi e/o con edizioni mai più ristampate.
5) potersi portare a casa più libri alla volta (salvo limite imposto dalla biblioteca).
6) avere a disposizione un numero di prestiti illimitato.
7) poter finire anche in poco tempo i libri presi in prestito, riconsegnarli e prenderne subito altri.
8) poter tornare sempre a casa con uno o più libri “in tasca”- vedi sopra (io uso un sacchetto di stoffa, a cui ho affibbiato il titolo di “sacchetto biblioteca”).
9) poter leggere in continuazione, un libro dietro l’altro, senza spendere un centesimo – vedi sopra.
10) avere la giustificazione del “è gratis!” a portata di bocca, per nascondere la dipendenza da lettura.
11) poter prenotare via internet i libri che in quel momento non sono disponibili perché già in prestito e poter tenere traccia delle prenotazioni - il problema è non farsi prendere la mano.
12) infine, ahimè devo dirlo, aiuta molto per questioni di spazio mancante. In camera mia non so più dove mettere i libri e sono finita a stiparli addirittura in una parte di armadio. Non dico altro.

È inevitabile che alcuni punti si ripetano o che si giri intorno allo stesso discorso. D’altra parte, sono tutti collegati. È una specie di domino, ai miei occhi. Se mettessi tra i pro anche “fascino di un luogo come la biblioteca” sarebbe troppo, vero? Hem.
In ogni caso, mi sono bastati neanche due mesi di pratica per assuefarmi. Non so quanto questo sia un bene, dato che un altro dei miei buoni propositi librosi per quest’anno è evitare di accumulare altri libri rispetto ai tanti che già mi aspettano da più o meno tempo. Aiuto.

Certo, come in tutte le cose e le situazioni, non mancano degli aspetti che possono essere considerati negativi, ma vale lo stesso discorso dei pro. È una visione puramente soggettiva.
I contro:


1) i libri non sono miei e quindi non mi rimangono.
Questo per me è forse il contro peggiore. Forse pecco di ottusità e possessività, ma a me piace un sacco leggere un libro che poi rimanga a me. Leggere un libro mio, insomma. Non ho mai scambiato un libro in tutta la mia vita, né ne ho mai venduti (se si esclude qualche testo scolastico, ma anche lì il discorso è lungo). Non ho mai nemmeno comprato un libro usato (discorso lungo anche qui, ma diciamo che credo si possa collegare al non riuscire a venderli: non riesco a vendere i miei perché sono miei, non riesco a comprarli usati perché non sono miei e per tutto ciò che comporta il fatto di essere passati dalle vite di altre persone).
2) i libri presi in prestito dalla biblioteca possono essere passati in mano a chiunque e, se questo aspetto da una parte potrebbe avere un certo fascino, e in effetti ce l’ha anche per me, dall’altra parte non mi ispira affatto che un libro sia potuto passare dalle mani e dalle case di chiunque. Leggo spesso che a molti piace appunto il libro rovinato e conciato. Lo chiamano “vissuto”. Io lo chiamo rovinato e conciato, per l’appunto. Quasi maltrattato. Tornando a noi e alla biblioteca: soprattutto quando ti ritrovi in mano un testo discretamente conciato e sospettosamente macchiato o incrostato di qualcosa. Sì, diciamolo. Non è bellissimo, per usare un eufemismo. 


Ho cercato di essere il più schematica e stringata possibile, questa volta, perché conosco i miei polli – la mia polla, anzi – e so che se mi fossi lasciata trasportare dalla “vena poetica” sarebbe finita male, come nel post pappardella ovvero la prima parte di questo discorso. Spero di non essere passata da un’atmosfera da fiamma del camino a una da ghiaccio acuminato e assassino che pende dal tetto, pronto a staccarsi nel momento esatto in cui passi sotto.   

Sono curiosa di sapere, se vi va di rispondere, cosa ne pensate e quali sono i vostri pro e contro, se usate o meno la biblioteca e via dicendo. Insomma: cosa, quando, come, perché.

Alla prossima!