venerdì 28 dicembre 2012

Se il bottino natalizio è ricco, io mi ci ficco.

Un post post-Natale (scusate il gioco di parole) è quasi d'obbligo, se si ha la fortuna di ricevere dei regali librosi o simil-librosi, richiesti o inaspettati che siano.
Quest'anno mi è andata decisamente di lusso e per me è una novità. Ho ricevuto ciò che desideravo - sono addirittura andata a comprarne uno insieme a mia madre su sua richiesta, per far sì che non fossero commessi errori - e sono riuscita anche a farmi il mio primo autoregalo (anche se non è filato tutto liscio, a causa di un errore fatto sullo sconto del libro. Ma a quella libreria posso anche perdonarlo).
Ecco il bottino natalizio:


Cominciamo coi regali richiesti, quelli dei miei:
Ho tartassato le pa...ooops, volevo dire, ho espressamente richiesto a mia madre, nel caso in cui fosse stato possibile, due libri ben precisi: "Il seggio vacante",(avrei voluto leggerlo subito in inglese a settembre, ma la versione in lingua originale costa ancora di più, sniff. Prima o poi, però, lo comprerò anche in inglese) di zia Joe o zia Row, come dir si voglia - alias Joanne Kathleen Rowling, per chi ha la sfortuna di non aver vissuto a pieni polmoni la serie di Harry Potter o per chi è prevenuto nei confronti della suddetta serie - e "Lavoro, dunque scrivo!", l'ultimo di Luisa Carrada, business writer - anche se per me è una writer nel senso più ampio del termine - che seguo costantemente da quando, un paio di anni fa, ho scoperto lei e il suo sito, Il Mestiere di scrivere, che definirei miniera e che, dopo avermi spinto a scaricare tutto il materiale possibile, mi fa tornare sempre sulle sue pagine e mi fa leggere il blog di Luisa.
Ebbene, con mia immensa gioia e soddisfazione, questi due libri sono arrivati.
L'altra parte del regalo, il regalone, è l'e-book reader Kobo Glo. Dopo mesi di valutazioni, sono arrivata alla conclusione che sì, mi sarebbe stato utile per diverse ragioni e sotto diversi aspetti e che sarebbe valsa la pena di farmelo regalare. Tranquilli/e, non mettereò mai da parte i veri libri. Non smetterò di comprarli e non smetterò mai di leggerli. Mai. L'idea non mi sfiora neppure l'anticamera del cervello. Sarebbe un'eresia. E dopo tutto, che sniffatrice di libri sarei, altrimenti? Non potrò mai staccarmi da un libro vero finché non scompariranno dalla faccia della terra - non succederà mai, vero? Vero?! - ma vi posso assicurare che, premettendo il fatto che è il mio primo e-reader e che finora sono riuscita a provarlo per poco tempo a causa dei giorni di festa in cui siamo stati tutti insieme appassionatamente, mi sembra un prodotto utile, valido e ad un prezzo politically correct e penso che valga la pena di risparmiare qualcosa per comprarlo.
Oltretutto, è come se avessi ricevuto altri tre libri in regalo - yaaaay - perché, con l'acuisto del Kobo, ora c'è la possibilità di avere tre e-book in omaggio, da scegliere all'interno di una rosa di nove. Io ne ho scelti tre che avrei voluto avere in ogni caso: "Steve Jobs" di Walter Isaacson, "Il cacciatore di occhi" di Sebastian Fitzek e "1Q84 - libro 1 e 2, aprile-settembre" di Haruki Murakami. Come si può verificare, sono tre libri recenti e ad un prezzo di listino non economico, quindi un bel regalo supplementare indiretto.
Infine, il mio autoregalo: "Stoner" di John Williams. A parte il fatto che già il nome dell'autore a me sconosciuto, omonimo di uno dei miei compositori preferiti, mi ha attirata non appena l'ho scorso sulla copertina. A parte il fatto che il blurb, la fascetta che serve ad attirare l'attenzione sul libro, reca il parere positivo - montatura o realtà? - di uno dei miei attori preferiti, ovvero Tom Hanks. A parte tutto. Anche perché , giusto per precisare, non mi faccio incantare dalle fascette. Il termine giusto sarebbe fuorviare.
Insomma, la copertina ha rotto il ghiaccio, mi ha incuriosita e mi ha spinta a leggere il risvolto di copertina, che mi ha convinta.
Infine - nella foto non l'ho inserito - una cosa inaspettata: una mia amica mi ha fatto un bel regalo (non tutto libroso) che mi ha lasciata senza parole, composto da più parti, una delle quali è una Gift Card - un buono - da usare in una libreria Giunti (so già dove andrò: nella mia Giunti di fiducia. Sospetto che anche la mia amica lo sapesse e che l'abbia fatto apposta). Beh, concludendo: che altro si potrebbe chiedere?

Sono curiosa, sono curiosa: fatevi avanti, cosa avete ricevuto di bello? Regali librosi, s'intende.

domenica 23 dicembre 2012

Darling Jim - Christian Mørk

Titolo: Darling Jim
Autore: Christian Mørk

Traduzione: Giorgio Puleo

Prima edizione italiana: 2010, Marsilio

Prezzo: € 18,00

Pagine: 384







Siamo in Irlanda, in una città poco a nord di Dublino. Desmond Niall è un giovane postino e, durante uno dei suoi giri quotidiani, si ferma davanti alla casa della signora Hegarty. Negli ultimi mesi ha percepito le avvisaglie di qualcosa di strano provenire da quella case ed ora si ritrova lì, con un brutto presentimento, indeciso sul da farsi.
Alla fine sfida la sorte e mentre inserisce la posta nella fessura apposita della porta, sente il rumore attutito di un mucchio di lettere sul pavimento. Decide di sbirciare e scopre così il cadavere della signora Hegarty.
Tutti, d’ora in poi, lo guarderanno con occhi diversi. La polizia inizia ad indagare e si scopre che nella casa ci sono tre cadaveri: la zia Mrs Hegarty e le nipoti Fiona e Roisin. Niall trova il diario di Fiona, inizia avidamente a leggerlo, sperando di poter trovare qualcosa che possa fare luce sull’inquietante morte delle donne, e scopre l’incontro fulminante e accecante di Fiona con un misterioso uomo piombato in città. Un uomo affascinante e un cantastorie, un seanchaì, che incanta le persone, donne soprattutto, raccontando a puntate in un pub la storia di un ragazzo che, come punizione per la sua crudeltà, viene trasformato in lupo.
Niall riuscirà a leggere i diari di Fiona e Roisin che, riga dopo riga, lo condurranno alla verità. Sarà proprio lui ad inserire l’ultimo pezzo del puzzle, svelando a sé stesso e a chi legge il mistero completo che si cela dietro l’inquietante e crudele storia.


La premessa, soprattutto quando si parla di thriller, è che bisognerebbe accuratamente evitare di svelare particolari significativi, colpi di scena e verità nascoste. Di conseguenza, c’è il rischio tangibile di non potere e non riuscire a parlare del libro come si dovrebbe.

Di questo libro non sapevo nulla. Non conoscevo l’autore, non conoscevo il titolo e non ne avevo mai sentito parlare. Non l’avevo mai incontrato, neanche per caso, in libreria o su internet nei miei giretti su siti come lafeltrinelli, amazon, inmondadori (ex mio amato bol.it). L’ho preso nel mio primo sopralluogo nella nuova biblioteca prescelta, non riuscendo a trattenermi. Insomma, l’ho preso a scatola chiusa – attirata solo dall’immagine in copertina, dalla trama e dalla casa editrice, la Marsilio - e tanti saluti.

Ammetto che questo libro mi ha fatto cambiare idea varie volte nel corso della lettura fino all’ultimo, non facendomi capire bene se il libro mi stesse piacendo o meno.
È diviso in parti. L’inizio, la parte del Preludio, parte fluido, con un senso, misterioso, ti da informazioni su cos’è successo in quella cittadina e prepara il terreno per tutto ciò che sarà raccontato dopo.
La mia lettura ha cominciato a zoppicare durante la parte del diario di Fiona. La storia mi attirava abbastanza, ma il modo in cui scorreva sotto gli occhi, lo stile dell’autore, non tanto. Ci sono stati diversi momenti in cui non riuscivo neanche a concentrarmi su ciò che stavo leggendo. L’autore ha qui uno stile asciutto e semplice, ma non quel tipo di asciutto e semplice di superlativa qualità. A dire la verità, in alcuni punti mi provocava quasi il nervoso: non mi offriva qualcosa a cui appigliarmi per appassionarmi al modo in cui racconta la storia. Soprattutto nel diario di Fiona. Cavoli, è il diario di una donna prigioniera che sa che sta per morire e decide di raccontare la propria storia, sperando che venga trovata. E tu le dai voce in quel modo? Mmm no, non mi ha convinta. Le parti che mi hanno afferrata di più, nel racconto di Fiona - e successivamente in quello di Roisin - sono quelle in cui Jim racconta la storia del ragazzo trasformato in lupo per punizione. Queste sono scritte in uno stile più ricercato e coinvolgente, come quello di un racconto antico o di una favola. Più ricche, ma senza fronzoli inutili, e con un pathos maggiore.
La lettura è poi migliorata nella parte del diario di Roisin, nel quale l’autore riesce a far trasparire meglio anche il carattere della donna, la sua personalità ribelle, schietta, diretta, senza paturnie mentali che possono essere tipiche nel genere femminile. Da qui in poi, insomma, sono riuscita a riacquistare l’interesse verso la storia e ho terminato il libro andando avanti quasi avidamente, ad un certo punto, attendendo di sapere cos’era davvero accaduto alle tre sorelle e alla loro zia e soprattutto perché. Tutto sommato, dopo aver metabolizzato un paio di giorni, devo dire che il libro in sé non è affatto male. Aveva un grosso potenziale, per me, e il fatto è che mi sembra davvero un peccato che l’autore si sia giocato la buona idea avuta per la storia, i suoi sviluppi e i personaggi, con uno stile che purtroppo non da quella marcia in più agli avvenimenti. Bisognerebbe poi vedere quale ruolo gioca la traduzione, nella questione. Probabilmente si sarebbe potuto fare anche un editing con un risultato finale migliore, azzardo.

In ogni caso, stile a parte, riconosco a Mork il merito di essere riuscito a dare discreta forma ai personaggi, soprattutto per quanto riguarda Niall e le tre sorelle: Fiona, Ròisìn e Aoife. Vittima, quest’ultima, della feroce crudeltà di Jim e segnata a vita dal suo passaggio nelle loro vite.
Per quanto riguarda Jim, non risalta tanto la sua personalità umana, quanto i fatti che si celano dietro alla sua ben nascosta mostruosità. È un incantatore, il nostro Jim. Non deve neanche sforzarsi per far cadere le donne ai propri piedi. Peccato che riveli in men che non si dica la sua feroce mostruosità e disumanità, mostrando di non capire che davanti a lui non c’è un pezzo di carne, ma una persona.
La domanda di fondo, che racchiude il mistero, come per il ragazzo nella storia che va raccontando, è: la amerà o la ucciderà?

Insomma, in fin dei conti la storia mi ha lasciata a metà tra il brivido per la crudeltà che alcuni “uomini” riversano sulle donne - raccontata in quel modo, attraverso l’espediente del lupo - animale che mi affascina un sacco e che non ritengo un mostro. Ahi ahi, questi cliché e questo immaginario collettivo – e il fascino per le idee che l’autore ha avuto e per come ha strutturato il racconto.

Bene, sono riuscita a non svelare quasi niente, tanto che mi sembra di aver parlato di aria fritta. In definitiva, se vi piacciono i thriller e la trama vi attira, provate a leggerlo. Non so, magari prendetelo in prestito anche voi in biblioteca, evitando così di spendere soldini per questo libro. Non createvi aspettative troppo alte, ma neanche troppo basse. D’altra parte, queste sono solo delle opinioni personali. Se vi attira, provate a leggerlo anche se non leggete o non vi piacciono i thriller, perché è un po’ particolare. È diverso. Coniuga elementi thriller con elementi gotici, favolistici e leggende irlandesi.

Ultima nota, per i più curiosi: per scrivere il libro, l’autore ha preso spunto dalla notizia di un fatto realmente accaduto, ovvero il ritrovamento dei cadaveri di una donna anziana e delle sue tre nipoti di mezza età in casa. L’autore comincia a “fantasticare” sull’ipotesi che possa non essersi trattato di un suicidio collettivo e così crea l’espediente dei diari delle sorelle per narrare la sua storia e condurre alla verità la persona che li trova.

giovedì 13 dicembre 2012

Buoni propositi per l'anno nuovo: prendere libri in biblioteca - parte 1

Nella mia cittadina è stata costruita, da anni ormai, la nuova biblioteca. Una struttura moderna. Bella fuori, bella dentro. Il punto di forza, secondo me, è la zona studio. Per quanto infatti, nell'edificio, lo spazio dedicato esclusivamente alla sala della biblioteca non sia enorme, è ben strutturato, pulito, ordinato. Ci si può mettere tranquillamente a studiare su qualsiasi tavolo ma, udite udite, è stato ricavato e organizzato uno spazio apposta, con tanto di porta chiusa e vetri trasparenti colorati - a mo' di finestre divisorie - che almeno non fanno sentire isolati dal mondo, immagino. È uno spazio più limitato, naturalmente, ma ben organizzato e vivo, cosa da non sottovalutare. In ogni caso è dedicato allo studio ultraipersilenzioso. Io studio sempre a casa per motivi vari, quindi non ho mai testato di persona, ma mi sembra un ambiente valido. Ripeto: moderno, organizzato, colorato, ordinato, pulito, accogliente.

Come ho già detto, penso che il punto di forza della biblioteca della mia città sia lo spazio in generale, inteso come qualità. Il problema, però, è che in quanto a scelta e organizzazione dei libri non siamo messi proprio benissimo. Forse è anche per questo che non l'ho quasi mai sfruttata. I miei ricordi di bambina, alle elementari soprattutto, mi mostrano la vecchia biblioteca. Un ambiente più classico, ma molto carino. La scelta, soprattutto nella zona bambini, era più che sufficiente. Ogni tanto, il mio maestro di italiano delle elementari ci portava a fare un giretto. Avevamo addirittura creato una mini-biblioteca, ricavata da uno scatolone di cartone, in classe. Doveva servire, credo ora, per incentivare la lettura e farci far pratica fin da subito con l'uso delle biblioteche. La ricordo bene.

Penso di aver preso l'ultimo libro in biblioteca - prima di quest'anno - all'inizio delle medie, forse.
Per anni più nulla. Un peccato, sì.
Ammetto che il fattore decisivo sia forse il fatto che mi piace che i libri siano miei. Non penso che questa mia caratteristica cambierà in futuro, ma crescendo si fanno nuove scoperte, si allargano i punti di vista, gli orizzonti e si scoprono nuove opportunità. Più che altro, se ne riscopre il valore.

E dunque, a gennaio di quest'anno mi trovo a dover prendere un libro - introvabile - in biblioteca per un esame universitario e, cerca e ricerca, finisco nella biblioteca di una città più grande, adiacente alla mia. Mi fanno arrivare il libro, lo prendo, lo riporto e tutto finisce lì. Non ho occasione di farmi un giro dentro le sale della biblioteca e quindi nisba. I mesi passano, io vorrei avere sempre una caterva di libri ma manca la materia prima, i soldini, e lo spazio in camera mia si è quasi esaurito. Sono arrivata a piantare i libri comprati nell'ultimo anno anche nella parte di armadio già occupata da libri universitari.
Un giorno di un paio di settimane fa, mi ritrovo in mano - lo stavo usando come segnalibro - il biglietto di scadenza del prestito del libro che presi a gennaio. Sopra campeggiava il sito dove, come mi avevano spiegato in biblioteca, avrei potuto cercare la disponibilità dei libri. Mi dico: "brava pirla, perché non hai mai provato a cercare qualcosa in questi mesi? Ecco, fallo adesso". Vado sul sito e scopro che si può cercare il libro - che, nel caso in cui in quel momento non avessero fisicamente, possono fare arrivare da una delle biblioteche "gemellate" della zona - e se c'è nel catalogo puoi verificare la quantità di copie disponibili, il numero di copie già in prestito e addirittura il numero di prenotazioni in attivo. Per esempio: "bene, questo libro ce l'hanno, tutte le copie disponibili sono già prenotate e ci sono in attivo centocinquanta prenotazioni, quindi riuscirò a prenderlo in prestito nel duemilamai. Ok, cerchiamone un altro". In più si può anche prenotare un libro direttamente online. 

Così, giorni fa sono andata per fare un giro, un sopralluogo, ma per vari motivi dovevo sbrigarmi. Ho solo fatto in tempo a dare un'occhiata a qualche scaffale e a farmi spiegare da una signora all'ingresso l'organizzazione della biblioteca e i vari settori. Dopo un minuto, mentre schiacciavo sull'acceleratore mio malgrado, mi cade l'occhio su un libro in basso, con la copertina in bella vista che mi rapisce subito: Il muso di un lupo. Noto subito che è un thriller edito dalla Marsilio. Lo prendo, dò un'occhiata al risvolto di copertina per capire la trama e alla fine lo prendo. Così, a scatola chiusa. Non mi capitava da un sacco di prendere un libro così, su due piedi, senza saperne nulla. Una strana sensazione di euforia per essere tornata a casa con un libro preso in prestito dalla biblioteca mi assale. Sì, dai: mi basta poco per esaltarmi, quando si tratta di libri. 


In questo post avrei dovuto e voluto scrivere, con un elenco puntato magari, i motivi per cui sarebbe bello e utile cominciare a sfruttare costantemente la biblioteca. Ecco, avrei dovuto. Condizionale. Invece ho scritto un pippone infinito. A questo punto farò così: nel prossimo post mi occuperò solo dei motivi per cui la biblioteca sarà uno dei miei buoni propositi per l'anno nuovo. Il super pippone introduttivo è già stato sfornato, quindi sono a posto.

P.S.: forse sarà il caso di aggiungere un altro buon proposito, per l'anno che sta arrivando: provare a ridurre il fiume di parole ad un ruscello, almeno. Sigh.

mercoledì 5 dicembre 2012

Pet sematary - Stephen King

In una limpida giornata di fine estate, la famiglia Creed si trasferisce in un tranquillo sobborgo residenziale di una cittadina del Maine. Non lontano dalla loro casa, al centro di una radura, sorge Pet Sematary, il cimitero dei cuccioli, un luogo dove i ragazzi del circondario, secondo un'antica consuetudine, usano seppellire i propri animaletti. Misteriosamente, la serena esistenza dei Creed viene ben presto sconvolta da una serie di episodi inquietanti e dall'improvviso ridestarsi di forze oscure e malefiche...


Titolo: Pet Sematary
Autore: Stephen King

Traduzione: Hilia Brinis

Prima edizione originale: 1983
Prima edizione italiana: 1985 Sperling & Kupfer (prima edizione Sperling Paperback marzo 1989)

Prezzo: € 10,90





Louis Creed, un giovane medico e uomo pratico, accetta l’incarico in una università e si trasferisce insieme alla famiglia in un quartiere residenziale di una cittadina del Maine. Un posto apparentemente tranquillo. Sua moglie, Rachel, è una donna affettuosa e apprensiva, soprattutto verso i due bambini: Ellie, cinque anni e Gage, che impara ora a parlare. Presenza fondamentale all’interno della famiglia è l'amato gatto della piccola Ellie: Winston Churchill, detto Church (ho idea che non sia un caso il fatto che il diminutivo diventi un riferimento alla chiesa).
Al loro arrivo, dopo che una vespa punge il piccolo Gage sul collo, giusto per “battezzare” il trasloco, entrano in scena i loro vicini di casa, dirimpettai. Judson Crandall, un uomo anziano che dimostra assai meno anni di quelli che in realtà ha e sua moglie Norma, donna poco presente a causa di una bruttissima artrite, che le sta rendendo atroce l’ultima parte della sua vita.
Jud si mostra fin da subito ospitale, offrendo il suo aiuto. Lui e Louis, giorno dopo giorno stringono un legame particolare, un tipo di legame che fa sentire a Louis di aver finalmente trovato un surrogato di padre. Il rapporto tra i due diventa sempre più importante soprattutto grazie alle confidenze che l’anziano signore fa al protagonista. Qualche giorno dopo l’arrivo della famiglia nel quartiere, infatti, ha luogo una gita – Jud alla guida – verso il Pet Sematary, il cimitero degli animali: un luogo dove i bambini e i ragazzini del posto, per qualche strano motivo, per qualche strana forza a loro esterna, usano seppellire i loro amati animali dopo la morte.
Un giorno Louis si trova a dover soccorrere un giovane, tale Victor Pascow, in seguito ad un brutto incidente. Il medico non riuscirà a salvargli la vita. Da quella notte prendono forma una serie di strani eventi, a partire dall’incubo di Louis che vede proprio Victor Pascow come protagonista. Il ragazzo si palesa in casa sua, si presenta tumefatto, con le ferite ancora aperte e l’osso della spalla ancora fuori posto. Il ragazzo mette in guardia Louis sul cimitero degli animali e lo avvisa di non oltrepassare “il confine”.
Poco tempo dopo, la famiglia Creed viene colpita dalla prima tragedia: la morte apparentemente e tecnicamente accidentale del gatto Church, ad opera di uno dei famosi camion che transitano sulla statale che fronteggia la casa. Jud convincerà - per qualche strano motivo - Louis a seppellire Church con metodo nel Pet Sematary e da questo momento in poi sarà un crescendo di orrore. Quel tipo di orrore causato non tanto da mostri o creature leggendariamente spaventose, quanto dalla mente umana, dal dolore che ci si può trovare ad affrontare nella vita, quando questa ci mette davanti alla perdita e alla morte in modo tangibile. Quando l’irrazionalità prende il sopravvento e non ci si riconosce neanche più nella propria mente.


Ad attrarmi è stato il titolo - che ha suscitato quel tipo di curiosità negativa e oscura - e la piccola mole del libro ha aiutato perché, secondo me, quando King diventa prolisso ti sottrae un po’ il piacere di leggerlo e il gusto per la storia che ti racconta.
Ho letto lo stralcio in quarta di copertina e ho deciso di inserirlo nella mia wishlist.
Alla fine è giunto il momento di comprarlo, complice il prezzo modesto (per dovere di cronaca: come la maggior parte degli Sperling Paperback).
La trama non lasciava intendere nulla – per fortuna, aggiungo! Rovinerebbe tutto il sapore, altrimenti - di quella che si è rivelata in realtà la sostanza del libro e il titolo mi ha lasciata nel limbo del dubbio per un po’. Avendo tre gatti che, neanche a dirlo, amo tantissimo, e conoscendo King, non mi sembrava proprio una botta di vita. Quella curiosità di cui parlavo, però, ha deciso per me ed eccomi qua.

Come tutti gli autori, King può piacere o meno – anche a seconda del libro in questione – ma una delle certezze è che sa come costruire le situazioni e i personaggi in modo da riuscire a trasmetterti le emozioni, l’angoscia, il brivido.
Non parlo del brivido da classico film horror in cui una tizia se ne va in giro da sola per casa, di notte, al buio, chiedendo cose assurde come: “chi è là?”, “chi sei?”, “vieni fuori se hai coraggio”. Ecco, no.
Non parlo neanche del brivido provocato dalle storielle dell’immaginario collettivo che magari ci raccontano da piccoli, quelle dell’uomo nero o del mostro sotto al letto pronto ad afferrarti per una caviglia nel momento in cui tu stai per andare a dormire. No.
Qui King si districa tra eventi misteriosi e mostruosi legati a leggende e riti di popoli antichi. Tutti elementi che usa come espedienti per narrare una storia che ha in sé una normalità atroce, in fondo. La normalità del dolore umano e della pazzia che può provocare. Quello che si scatena di fronte alla perdita e alla morte.
L’autore mostra, forse portato all’eccesso ma, chissà, ciò che può succedere nella mente e nell’animo umano quando davanti ad un uomo viene messa la possibilità reale e concreta della resurrezione.
È difficile parlare del libro senza rivelare troppe cose e senza rovinare la lettura a chi sceglierà di dargli una possibilità. Ora, a lettura terminata, sono sicuramente dell’idea che non mi sarebbe affatto piaciuto che qualcuno mi avesse rovinato le “sorprese” di questa storia, i dilemmi, i turbamenti psicologici dei personaggi, i dolori del loro passato che si trascinano nel presente. Soprattutto per Rachel, per esempio, la quale vive ancora nel terrore che le hanno provocato la malattia e la morte della sorella quando le due erano ancora delle bambine.
Posso dire però che, lo stile di King, quando è così scorrevole e chiaro, cattura fin da subito. Dall’inizio si viene coinvolti nella storia e ci si sente quasi come degli amici della famiglia Creed. Amici che però non possono interferire nel corso degli eventi, nonostante verrebbe voglia di calarsi nei panni del Grillo Parlante, per salvare tutti da una catastrofe certa e, anche se non palesemente annunciata, ben prevedibile.
King racconta con la voce di un narratore esterno che segue i personaggi, soprattutto Louis. Ciò che permette un maggior coinvolgimento emotivo è la possibilità di essere resi partecipi dei dilemmi interni ai personaggi, delle loro paure, emozioni e sensazioni profonde, espresse in prima persona sotto forma di pensiero.
I personaggi non sono apertamente descritti né nell’aspetto fisico, né in quello caratteriale. Il punto è che qui non ce n’è bisogno. Prendono vita semplicemente attraverso ciò che dicono e attraverso le loro disperate azioni. Louis è un personaggio abbastanza emblematico, all’inizio. Lo conosciamo come una persona estremamente razionale e finiamo per assistere ad azioni sconsiderate, disperate e ritenute blasfeme. Quando Louis comincia a scoprire il vero segreto del cimitero deli animali, niente sarà più come prima. Dovrà rassegnarsi, seppur riluttante all’inizio, all’assurda evidenza. Una volta addentrati nel corso degli eventi, quando la seconda e terribile tragedia colpirà la famiglia, sappiamo già quali saranno i pensieri e le intenzioni di Louis Creed. Ce lo aspettiamo e lo sappiamo prima che se ne renda conto lui stesso.
Ruolo fondamentale quello dell’anziano Jud Crandall, che Louis arriva a considerare un amico, quasi un padre. Sarà il vicino a svelargli man mano tutti i segreti del cimitero, i perché, gli scopi del seppellire gli animali proprio lì e gli orrori che hanno preso luogo in passato nella città quando le persone si sono spinte troppo oltre.
Insomma, un horror ben architettato. Un libro che ti lascia il brivido della consapevolezza di una pazzia che potrebbe colpire chiunque davanti al dolore della morte e alla possibilità di avere indietro chi abbiamo amato. Una storia e degli eventi che ti lasciano il dubbio: “e tu, cosa faresti al loro posto?”.
C’è da dire che le sequenze finali sono talmente deliranti e demoniache da essere quasi degne dello schema di un film horror anni ottanta e non so quanto questo sia positivo.
Il vero finale non si può assolutamente rivelare, naturalmente. Devo dire che mi ha lasciata perplessa e non è la prima volta che un finale di King mi dà questa sensazione. Qualcosa di non completamente afferrabile e comprensibile. Qualcosa di aperto. L’orrore che continua, che in realtà non finisce mai.
In ogni caso, a me è decisamente piaciuto. Non è uno di quei libri horror fini a se stessi – non che non possano essere piacevoli eh, lungi da me - che non lasciano nulla una volta terminata la loro lettura. È più come un pugno nello stomaco. Come si sarà capito, penso che offra non pochi spunti di riflessione.

Due parole su due aspetti che finora non ho menzionato, ma ai quali tengo molto e che considero sempre. Non l’ho fatto più che altro perché non servono propriamente a dare un giudizio al contenuto in sé di un determinato libro o a ciò che ha scritto l’autore. Parlo della traduzione e dell’editing e correzione bozze; aspetto, quest’ultimo, a cui tengo molto e a cui sono sempre molto interessata.
Ho trovato, nella traduzione, alcuni termini ed espressioni forzate. Mi viene in mente un esempio tratto da un dialogo: la piccola Ellie usa l’espressione “l’anno venturo”, al posto di “l’anno prossimo”. Penso che sia assolutamente poco credibile che una bambina di 5 o 6 anni possa parlare in questo modo e sicuramente non avrebbe parlato così nemmeno negli anni ottanta, ovvio. Penso sia stato un vezzo della traduttrice. Immagino che nell’edizione originale fosse “next year”. Espressione che non ha bisogno di essere tradotta in altro modo che “l’anno prossimo”. Questo giusto per fare un esempio.
Per quanto riguarda la correzione bozze, invece, ho trovato qualche refuso qua e la, ma non compromette di certo la piacevolezza della lettura né la sua scorrevolezza. E poi, io sono un caso patologico. Pignola, coff coff. Perdonatemi.

La parola a voi: qualcuno di voi l’ha letto? Che ne pensate? Viva il confronto pacifico.