In una limpida giornata di fine estate, la famiglia Creed si trasferisce in un tranquillo sobborgo residenziale di una cittadina del Maine. Non lontano dalla loro casa, al centro di una radura, sorge Pet Sematary, il cimitero dei cuccioli, un luogo dove i ragazzi del circondario, secondo un'antica consuetudine, usano seppellire i propri animaletti. Misteriosamente, la serena esistenza dei Creed viene ben presto sconvolta da una serie di episodi inquietanti e dall'improvviso ridestarsi di forze oscure e malefiche...
Titolo: Pet Sematary
Autore: Stephen King
Traduzione: Hilia Brinis
Prima edizione originale: 1983
Prima edizione italiana: 1985 Sperling & Kupfer (prima edizione Sperling Paperback marzo 1989)
Prezzo: € 10,90
Louis
Creed, un giovane medico e uomo pratico, accetta l’incarico in una università e
si trasferisce insieme alla famiglia in un quartiere residenziale di una
cittadina del Maine. Un posto apparentemente tranquillo. Sua moglie, Rachel, è
una donna affettuosa e apprensiva, soprattutto verso i due bambini: Ellie,
cinque anni e Gage, che impara ora a parlare. Presenza fondamentale all’interno
della famiglia è l'amato gatto della piccola Ellie: Winston Churchill, detto Church
(ho idea che non sia un caso il fatto che il diminutivo diventi un riferimento
alla chiesa).
Al loro
arrivo, dopo che una vespa punge il piccolo Gage sul collo, giusto per
“battezzare” il trasloco, entrano in scena i loro vicini di casa, dirimpettai.
Judson Crandall, un uomo anziano che dimostra assai meno anni di quelli che in
realtà ha e sua moglie Norma, donna poco presente a causa di una bruttissima
artrite, che le sta rendendo atroce l’ultima parte della sua vita.
Jud si
mostra fin da subito ospitale, offrendo il suo aiuto. Lui e Louis, giorno dopo
giorno stringono un legame particolare, un tipo di legame che fa sentire a
Louis di aver finalmente trovato un surrogato di padre. Il rapporto tra i due
diventa sempre più importante soprattutto grazie alle confidenze che l’anziano
signore fa al protagonista. Qualche giorno dopo l’arrivo della famiglia nel
quartiere, infatti, ha luogo una gita – Jud alla guida – verso il Pet Sematary,
il cimitero degli animali: un luogo dove i bambini e i ragazzini del posto, per
qualche strano motivo, per qualche strana forza a loro esterna, usano
seppellire i loro amati animali dopo la morte.
Un giorno
Louis si trova a dover soccorrere un giovane, tale Victor Pascow, in seguito ad
un brutto incidente. Il medico non riuscirà a salvargli la vita. Da quella
notte prendono forma una serie di strani eventi, a partire dall’incubo di Louis
che vede proprio Victor Pascow come protagonista. Il ragazzo si palesa in casa
sua, si presenta tumefatto, con le ferite ancora aperte e l’osso della spalla
ancora fuori posto. Il ragazzo mette in guardia Louis sul cimitero degli
animali e lo avvisa di non oltrepassare “il confine”.
Poco
tempo dopo, la famiglia Creed viene colpita dalla prima tragedia: la morte apparentemente
e tecnicamente accidentale del gatto Church, ad opera di uno dei famosi camion
che transitano sulla statale che fronteggia la casa. Jud convincerà - per
qualche strano motivo - Louis a seppellire Church con metodo nel Pet Sematary e
da questo momento in poi sarà un crescendo di orrore. Quel tipo di orrore
causato non tanto da mostri o creature leggendariamente spaventose, quanto
dalla mente umana, dal dolore che ci si può trovare ad affrontare nella vita,
quando questa ci mette davanti alla perdita e alla morte in modo tangibile.
Quando l’irrazionalità prende il sopravvento e non ci si riconosce neanche più
nella propria mente.
Ad
attrarmi è stato il titolo - che ha suscitato quel tipo di curiosità negativa e
oscura - e la piccola mole del libro ha aiutato perché, secondo me, quando King
diventa prolisso ti sottrae un po’ il piacere di leggerlo e il gusto per la
storia che ti racconta.
Ho letto
lo stralcio in quarta di copertina e ho deciso di inserirlo nella mia wishlist.
Alla fine
è giunto il momento di comprarlo, complice il prezzo modesto (per dovere di
cronaca: come la maggior parte degli Sperling Paperback).
La trama
non lasciava intendere nulla – per fortuna, aggiungo! Rovinerebbe tutto il
sapore, altrimenti - di quella che si è rivelata in realtà la sostanza del
libro e il titolo mi ha lasciata nel limbo del dubbio per un po’. Avendo tre
gatti che, neanche a dirlo, amo tantissimo, e conoscendo King, non mi sembrava proprio
una botta di vita. Quella curiosità di cui parlavo, però, ha deciso per me ed
eccomi qua.
Come
tutti gli autori, King può piacere o meno – anche a seconda del libro in
questione – ma una delle certezze è che sa come costruire le situazioni e i
personaggi in modo da riuscire a trasmetterti le emozioni, l’angoscia, il brivido.
Non parlo
del brivido da classico film horror in cui una tizia se ne va in giro da sola
per casa, di notte, al buio, chiedendo cose assurde come: “chi è là?”, “chi
sei?”, “vieni fuori se hai coraggio”. Ecco, no.
Non parlo
neanche del brivido provocato dalle storielle dell’immaginario collettivo che
magari ci raccontano da piccoli, quelle dell’uomo nero o del mostro sotto al
letto pronto ad afferrarti per una caviglia nel momento in cui tu stai per
andare a dormire. No.
Qui King
si districa tra eventi misteriosi e mostruosi legati a leggende e riti di
popoli antichi. Tutti elementi che usa come espedienti per narrare una storia
che ha in sé una normalità atroce, in fondo. La normalità del dolore umano e
della pazzia che può provocare. Quello che si scatena di fronte alla perdita e
alla morte.
L’autore
mostra, forse portato all’eccesso ma, chissà, ciò che può succedere nella mente
e nell’animo umano quando davanti ad un uomo viene messa la possibilità reale e
concreta della resurrezione.
È
difficile parlare del libro senza rivelare troppe cose e senza rovinare la
lettura a chi sceglierà di dargli una possibilità. Ora, a lettura terminata,
sono sicuramente dell’idea che non mi sarebbe affatto piaciuto che qualcuno mi
avesse rovinato le “sorprese” di questa storia, i dilemmi, i turbamenti
psicologici dei personaggi, i dolori del loro passato che si trascinano nel
presente. Soprattutto per Rachel, per esempio, la quale vive ancora nel terrore
che le hanno provocato la malattia e la morte della sorella quando le due erano
ancora delle bambine.
Posso
dire però che, lo stile di King, quando è così scorrevole e chiaro, cattura fin
da subito. Dall’inizio si viene coinvolti nella storia e ci si sente quasi come
degli amici della famiglia Creed. Amici che però non possono interferire nel
corso degli eventi, nonostante verrebbe voglia di calarsi nei panni del Grillo
Parlante, per salvare tutti da una catastrofe certa e, anche se non palesemente
annunciata, ben prevedibile.
King
racconta con la voce di un narratore esterno che segue i personaggi,
soprattutto Louis. Ciò che permette un maggior coinvolgimento emotivo è la
possibilità di essere resi partecipi dei dilemmi interni ai personaggi, delle
loro paure, emozioni e sensazioni profonde, espresse in prima persona sotto
forma di pensiero.
I
personaggi non sono apertamente descritti né nell’aspetto fisico, né in quello
caratteriale. Il punto è che qui non ce n’è bisogno. Prendono vita
semplicemente attraverso ciò che dicono e attraverso le loro disperate azioni.
Louis è un personaggio abbastanza emblematico, all’inizio. Lo conosciamo come
una persona estremamente razionale e finiamo per assistere ad azioni
sconsiderate, disperate e ritenute blasfeme. Quando Louis comincia a scoprire
il vero segreto del cimitero deli animali, niente sarà più come prima. Dovrà
rassegnarsi, seppur riluttante all’inizio, all’assurda evidenza. Una volta
addentrati nel corso degli eventi, quando la seconda e terribile tragedia
colpirà la famiglia, sappiamo già quali saranno i pensieri e le intenzioni di
Louis Creed. Ce lo aspettiamo e lo sappiamo prima che se ne renda conto lui
stesso.
Ruolo
fondamentale quello dell’anziano Jud Crandall, che Louis arriva a considerare
un amico, quasi un padre. Sarà il vicino a svelargli man mano tutti i segreti
del cimitero, i perché, gli scopi del seppellire gli animali proprio lì e gli
orrori che hanno preso luogo in passato nella città quando le persone si sono
spinte troppo oltre.
Insomma,
un horror ben architettato. Un libro che ti lascia il brivido della consapevolezza
di una pazzia che potrebbe colpire chiunque davanti al dolore della morte e
alla possibilità di avere indietro chi abbiamo amato. Una storia e degli eventi
che ti lasciano il dubbio: “e tu, cosa faresti al loro posto?”.
C’è da
dire che le sequenze finali sono talmente deliranti e demoniache da essere
quasi degne dello schema di un film horror anni ottanta e non so quanto questo
sia positivo.
Il vero
finale non si può assolutamente rivelare, naturalmente. Devo dire che mi ha
lasciata perplessa e non è la prima volta che un finale di King mi dà questa
sensazione. Qualcosa di non completamente afferrabile e comprensibile. Qualcosa
di aperto. L’orrore che continua, che in realtà non finisce mai.
In ogni
caso, a me è decisamente piaciuto. Non è uno di quei libri horror fini a se
stessi – non che non possano essere piacevoli eh, lungi da me - che non
lasciano nulla una volta terminata la loro lettura. È più come un pugno nello
stomaco. Come si sarà capito, penso che offra non pochi spunti di riflessione.
Due
parole su due aspetti che finora non ho menzionato, ma ai quali tengo molto e
che considero sempre. Non l’ho fatto più che altro perché non servono
propriamente a dare un giudizio al contenuto in sé di un determinato libro o a
ciò che ha scritto l’autore. Parlo della traduzione e dell’editing e correzione
bozze; aspetto, quest’ultimo, a cui tengo molto e a cui sono sempre molto
interessata.
Ho
trovato, nella traduzione, alcuni termini ed espressioni forzate. Mi viene in
mente un esempio tratto da un dialogo: la piccola Ellie usa l’espressione
“l’anno venturo”, al posto di “l’anno prossimo”. Penso che sia assolutamente
poco credibile che una bambina di 5 o 6 anni possa parlare in questo modo e
sicuramente non avrebbe parlato così nemmeno negli anni ottanta, ovvio. Penso
sia stato un vezzo della traduttrice. Immagino che nell’edizione originale
fosse “next year”. Espressione che non ha bisogno di essere tradotta in altro
modo che “l’anno prossimo”. Questo giusto per fare un esempio.
Per
quanto riguarda la correzione bozze, invece, ho trovato qualche refuso qua e
la, ma non compromette di certo la piacevolezza della lettura né la sua
scorrevolezza. E poi, io sono un caso patologico. Pignola, coff coff. Perdonatemi.
La parola a voi: qualcuno
di voi l’ha letto? Che ne pensate? Viva il
confronto pacifico.